- Il Teatro Romano di Gubbio fu completato intorno al 20 a.C
- Dopo l’invasione longobarda divenne una cava a cielo aperto. E le sue pietre furono utilizzate per la costruzione della città medievale
- In età bizantina fu convertito a castello
- I primi scavi archeologici cominciarono nel XVI secolo
La nascita del Teatro romano
Il grande Teatro Romano venne costruito in pianura, ai limiti settentrionali della città antica, vicino alle mura e a poca distanza dalle terme. È il più antico edificio ludico dell’Umbria, ricordato e descritto, da varie cronache, fin dal Quattrocento.
Risale agli anni centrali del I secolo avanti Cristo, gli ultimi della Repubblica, come testimonia una epigrafe monumentale incisa su blocchi squadrati di calcare. Ma i lavori furono completati intorno al 20 a.C. Lo documentano due iscrizioni gemelle, all’origine collocate come balaustre all’ingresso delle basilicae e oggi conservate nel Museo Civico.
Le iscrizioni raccontano che Gneo Satrio Rufo, quattuorvir iure dicundo, il più importante magistrato della città antica, «fece a sue spese il tetto delle basiliche, fissò con ferro le travi del tetto, fece il pavimento di pietra, rivestì le pareti con uno zoccolo e diede per la nomina a decurione 6000 sesterzi, per l’approvvigionamento delle legioni 3450 sesterzi, per il restauro del tempio di Diana 6200, per i giochi della vittoria di Cesare Augusto 7750 sesterzi».
La struttura del Teatro
L’edificio venne costruito in opera quadrata con grossi blocchi calcarei lavorati a bugnato rustico. La grande cavea, divisa in quattro cunei, misurava 70 metri di diametro e poteva ospitare fino a 6.000 persone. La struttura originale, della quale non resta quasi nulla, poggiava su due file di archi. In quello superiore spiccava un colonnato dorico. In basso si aprivano gli accessi voltati per le gradinate, rivestite di bianchi gradini in pietra calcarea.
Ventidue scalinate, in quattro cunei, scendevano verso il piano dell’orchestra, costruito in lastre squadrate e leggermente concavo per permettere il deflusso delle acque piovane verso una cisterna scavata proprio sotto il pulpitum. Pochi resti sono rimasti del frontescena. Sappiamo però che raggiungeva 14 metri e mezzo di altezza. Tre nicchie inquadravano l’ingresso verso il palcoscenico. Sul fondo di quella centrale, di forma semicircolare, emergeva la porta regia, con gli stipiti, i fregi e le cornici realizzate con il pregiato marmo di Luni.
Le due basiliche laterali avevano invece una forma rettangolare. Lo spazio era completato da un prospetto architettonico su due ordini (ionico e corinzio) su cui spiccavano altre nicchie, rivestite di intonaci neri, rossi e azzurri, che accoglievano una serie di statue rivestite di marmi colorati.
Il pavimento del pulpitum era abbellito dai mosaici ricchi di riquadrature a fogliami e figure.
Caduta e riscoperta
Per almeno quattro secoli, la grande costruzione fu il cuore della vita sociale della città e il simbolo stesso dell’importanza raggiunta da Gubbio nell’età romana. Poi gli incendi e i terremoti ne segnarono la decadenza. Dopo l’invasione longobarda il Teatro Romano divenne una cava a cielo aperto. E le sue pietre vennero utilizzate per la costruzione della città medievale, che nacque e si sviluppò più protetta e più in alto della Gubbio romana.
I primi scavi archeologici cominciarono nel XVI secolo, con la famiglia Gabrielli, diventata con il tempo proprietaria di tutti i terreni circostanti. E proseguirono, a fasi alterne, spesso sotto lo stimolo della Chiesa. Ma gran parte di quello che fu trovato, finì in collezioni private o fu venduto. Gli studi preziosi dell’archeologo Francesco Marcattili ci ricordano che il Teatro Romano, nel corso dei secoli, cambiò più volte la sua destinazione d’uso. In età bizantina fu convertito a castello: presidio fortificato in difesa del versante meridionale della città, lungo la via strategica che collegava Roma con Ravenna. Del teatro, perse anche il nome: fu chiamato Palatium, Parilasio e Rocca.
Nel Settecento, il marchese Sebastiano Ranghiasci Brancaleoni, appassionato archeologo, sul piano dell’orchestra scoprì imponenti strutture murarie, resti umani e tracce di un grande incendio. E si disse convinto che «l’Edificio ne’ bassi tempi fosse convertito in una Fortezza». Forse distrutta, in modo definitivo, nel 772 d.C. quando Desiderio sottomise Gubbio.
Altri scavi, nei secoli successivi, permisero il ritrovamento di preziose maioliche e di una colonna, ora scomparsa, parte di un loggiato di un edificio religioso: la traccia di un monastero, sorto sulle rovine del grande teatro e dedicato fino al Cinquecento al culto di Maria, non a caso detta “del Pallagio” per indicare il luogo di quello che ormai appariva come un castello.
Giovanni di Lorenzo de’ Medici, papa Leone X, ordinò il trasferimento del culto e progettò di edificare una nuova fortezza poco lontano. Le difficoltà economiche e la morte del pontefice fermarono i lavori. L’importanza archeologica dell’area era però tornata evidente, come dimostrò la nomina a «soprastante dei rinvenimenti archeologici» di Pierreale di Suppolino. Ma appena un secolo dopo, i fornici e la cavea del teatro erano già state trasformate in abitazioni, come dimostra in modo evidente una veduta seicentesca del cartografo pesarese Francesco Mingucci.
Solo con gli scavi del 1900, guidati dagli architetti Giuseppe Sacconi e Dante Viviani, il grande monumento venne liberato dall’assedio delle case. Altri cantieri vennero aperti nel 1954 e nel 1961. I lavori e le indagini archeologiche dei nostri giorni hanno riportato il Teatro Romano a quella che per secoli fu una delle sue principali funzioni: plastico simbolo della gloria della città romana.