- Quattro templi ai margini del territorio della antica Iguvium (Gubbio) furono costruiti in modo strategico vicino alle principali vie di comunicazione
- Di due di questi templi non rimangono che le parole: resoconti, dati epigrafici e descrizioni antiquarie
Il tempio di Giove Pennino
Il leggendario tempio di Giove Pennino, lungo la Flaminia, nell’antichità era meta di continui pellegrinaggi. Si trovava nelle vicinanze dell’antica Ad Ensem, l’attuale Scheggia.
La Tabula Peutingeriana (una copia di un’antica carta che mostra le vie stradali dell’Impero romano, ndr) ci informa che il centro a nord di Iguvium era allora una mutatio, la stazione di posta nella quale i veicoli che viaggiavano per interesse dello stato romano potevano cambiare i cavalli. La stessa Tabula, poco oltre (segmento IV,3) riporta un’altra indicazione: «Iovis Penninus id est Agubio».
L’antico santuario è descritto da Claudiano (370-404 d.C) poeta e senatore romano sostenitore di Stilicone, che nel 404 d.C seguì il viaggio compiuto da Onorio, primo imperatore romano d’occidente, da Ravenna a Roma.
Lo scrittore spiega che il tempio si trovava lungo il percorso della strada consolare: «Exuperans delubra Iovis». E osserva stupito: «saxoque minantes Appenninigenis cultas pastoribus aras». I pastori continuavano a sacrificare agli dei, come gli antichi Umbri, loro progenitori.
Il tempio è citato anche in due distinti passi della Historia Augusta, la raccolta delle biografie degli imperatori romani redatta da 6 differenti scrittori: si parla delle sorti Pennine e dell’imperatore illirico Claudio il Gotico (213-270) che proprio lì avrebbe consultato un oracolo. Al culto della divinità si riferiscono anche due epigrafi, scoperte nei pressi di Scheggia insieme ad alcune statue durante i lavori di restauro della Via Flaminia ordinati da papa Clemente IX (1667-1669). Una iscrizione dedicatoria a Giove Pennino è ancora visibile al Museo di Verona.
Il tempio di Marte Ciprio
Qualche decina di chilometri più a sud del tempio di Giove Pennino, alla fine del I sec. d.C., un notabile romano, L. Iavolenus Apulus, fece costruire un altro tempio dedicato a Marte Ciprio. Nello stesso luogo, a distanza di tredici secoli, venne edificata l’abbazia di S.Pietro in Vigneto, lungo il percorso francescano tra Gubbio e Assisi. Dell’antico tempio del dio Marte non sono rimaste tracce. A eccezione di una statua, in marmo bianco, ritrovata nel Settecento dal nobile eugubino Sebastiano Ranghiasci: il Marte Ciprio rivestito della sua corazza con il clamide sulle spalle ora è conservato a Firenze, in una sala del Museo Archeologico Nazionale. Un altro calco, in gesso, si può ammirare nel Museo Comunale di Gubbio, ospitato all’interno dello straordinario Palazzo dei Consoli.
Il tempio di Diana
Ai margini occidentali del municipium, come confine ideale della città di Iguvium, nel II secolo a.C. venne innalzato un altro tempio in onore di Diana. Gli scavi archeologici hanno messo in luce il terrazzamento che sosteneva il grande santuario, affacciato in posizione scenografica sulla valle, nei pressi del paese di Monteleto, lungo la bella strada che oggi unisce Gubbio a Umbertide. L’imponente edificio poggiava su blocchi di calcare lavorati a bugnato e non legati da malta. Al pari del Teatro Romano eugubino, fu restaurato in età augustea dal quattuorvir Gneo Satrio Rufo. Ma nel corso dei secoli venne saccheggiato a più riprese. E le grandi pietre che lo sostenevano, furono impiegate per le fondamenta di molte case nei dintorni.
Il quarto tempio
Poco lontano, lungo la stessa direzione, a nord del borgo di Nogna, toponimo che richiama il gentilizio Nonia ricordato anche dalle Tavole Iguvine, gli scavi archeologici hanno riportato alla luce un tempio del tipo italico ad alae, costruito su un’altura, alla fine del II secolo a.C. con grandi blocchi di arenaria. Cento anni dopo, l’intero complesso venne distrutto da un incendio. E le rovine rimasero a lungo abbandonate. Finché una serie di frane, unite allo smottamento a valle della collina, nascosero ogni traccia del santuario. Riemerso, in tempi recenti, grazie ai nuovi scavi archeologici.