- La cultura villanoviana è la fase più antica della civiltà etrusca
- A Orvieto ci sono pochi reperti databili a quella fase storica
- Ceramiche villanoviane sono state rinvenute in corrispondenza del Palazzo del Popolo e in Piazza Marconi
Il buco nero dei reperti villanoviani
Nella storia di Orvieto etrusca la fase villanoviana risulta la più difficile da comprendere: non appare infatti all’altezza di quella delle altre maggiori poleis etrusche tra le quali la città va annoverata. Negli ultimi anni, grazie a nuovi scavi e alla pubblicazione di materiale restato inedito, il quadro è divenuto più ricco e dinamico, ma non al punto di recuperare il gap che si è segnalato.
Quali possono esserne i motivi? La spiegazione potrebbe essere individuata nella storia delle ricerche che avrebbero favorito altre epoche, o non tenuto nel dovuto conto i reperti di tale fase. L’ipotesi non sembra avvalorata: proprio agli inizi della riflessione sul passato della città, nei decenni iniziali del Cinquecento, venne, ad esempio, segnalato e registrato (1532), durante lo scavo del Pozzo della Rocca (oggi noto come di San Patrizio), il rinvenimento di una sepoltura che potrebbe rinviare alla fase villanoviana.
Il mancato riconoscimento, o la scarsa considerazione per reperti riferibili all’epoca villanoviana non può essere stata maggiore a Orvieto rispetto ad altre realtà. La loro ridotta presenza si deve a cause che vanno oltre la storia delle ricerche.
Tali cause devono essere di carattere storico e con esse si è misurato per primo Giovanni Colonna con la solita profondità di analisi. Egli ha ipotizzato l’inurbamento su larga scala di famiglie, distribuite in precedenza nei tanti oppida del territorio, soltanto nella prima metà del VI secolo a.C. Ha affermato di essere riluttante: «nel situare in piena età storica fenomeni di sinecismo nell’Etruria propria, ma veramente nel caso di Orvieto si è sospinti formulare una simile ipotesi».
Sulla sua scia si è mosso P. Tamburini, che ha osservato come gli insediamenti protovillanoviani, in questo distretto territoriale, non vennero abbandonati entrando nell’età del Ferro. Una tesi ripresa, in anni più recenti, da Nicola Bruni.
Il pianoro di Orvieto occupato già nella Età del Ferro
Sulla base dei ritrovamenti si può ipotizzare, comunque, un’occupazione del pianoro già nell’età del Ferro con la presenza di piccoli nuclei abitativi separati da spazi vuoti destinati all’agricoltura, all’allevamento e alle attività produttive. Non sembra da escludere nemmeno la presenza di necropoli sul pianoro.
Dove potevano essere ubicati i nuclei abitativi villanoviani (o anche precedenti) sul pianoro? La ricerca ha indicato alcune zone: l’area occupata successivamente dal tempio di Belvedere, qui Enrico Stefani, pubblicando i risultati delle indagini portate avanti nell’area durante gli anni Venti del Novecento, segnalò la presenza di: «cavità leggermente coniche praticate sulla roccia in punti diversi». La notizia è stata ripresa e valorizzata da P. Tamburini e da chi scrive ipotizzando la presenza di capanne interpretando le «cavità di forma conica», come probabili buche di pali.
Un’altra area di particolare interesse risulta il complesso archeologico al di sotto della chiesa di Sant’Andrea: è emersa la sicura occupazione dell’area in epoca villanoviana, con la probabile presenza di capanne. Sempre sul pianoro, a qualche decina di metri dall’area dalla chiesa di Sant’Andrea, reperti villanoviani sono stati rinvenuti nella cavità 254 di Via Ripa Medici scavata di recente stratigraficamente. Ceramiche villanoviane sono state rinvenute anche altrove sul pianoro, in corrispondenza del Palazzo del Popolo e in Piazza Marconi.
Le necropoli di Crocifisso del Tufo e di Cannicella, posizionate alle pendici della rupe, hanno restituito testimonianze di età villanoviana ed è ancora aperta la discussione se tali reperti siano caduti per scivolamento dall’alto della rupe nel corso dei secoli, o se le necropoli più recenti siano state realizzate cancellando altre più antiche. L’ipotesi di un insediamento di pendice, almeno per l’area di Crocifisso del Tufo, sembra suggerito, comunque, dalle ultime indagini. Di recente è stata rinvenuta un’importante tomba a fossa, databile attorno alla metà dell’VIII secolo a.C., in località Podere l’Arcone.
Va ricordato, inoltre, che l’importante scavo nella zona di Campo della Fiera diretto da Simonetta Stopponi, che ha portato alla scoperta del Fanum Voltumnae, il santuario federale degli Etruschi, ha restituito reperti protostorici in giacitura secondaria. Essi hanno fatto pensare alla presenza in zona di un sito con una continuità di vita: «almeno dal Bronzo finale e per tutta la prima età del Ferro, fino alle soglie dell’Orientalizzante».
In conclusione, riprendendo alcune considerazioni iniziali, preme sottolineare come la fase villanoviana di Orvieto si riesca a comprendere a pieno soltanto gettando uno sguardo sull’intero territorio volsiniese, che, nel corso del I millennio a.C., ha oscillato sempre tra l’asse fluviale Chiani – Paglia – Tevere, vale a dire la via di comunicazione naturale tra Chiusi e Roma, e le sponde del lago di Bolsena.