Scoprire, tutelare, studiare, valorizzare e comunicare (in primo luogo alla comunità scientifica, tramite la stesura di un catalogo): ecco qual è il complesso ruolo della Soprintendenza nel momento in cui un bene archeologico è proprietà dello Stato.
La scoperta
Le circostanze in cui è stata rinvenuta la Villa – come in molte delle straordinarie scoperte archeologiche in Italia – sono del tutto fortuite. Nel 2005 iniziano i lavori per la costruzione di un parcheggio in Località Sant’Anna, poche decine di metri fuori Porta Consolare. I lavori fanno appena in tempo a cominciare che dal terreno affiorano delle tessere di mosaico. Un’opera pubblica si ferma e un’altra comincia: l’intervento immediato della Soprintendenza e degli archeologi.
La scoperta deve essere immediatamente protetta, data la fragilità del reperto: i mosaici, infatti, possono facilmente deperire se esposti alle intemperie, perdere delle tessere e rovinarsi. D’altronde erano stati pensati dagli antichi come decorazioni per interni. Devono quindi essere coperti, per poter essere studiati e restaurati, ma ancora prima per poter proseguire in sicurezza la campagna di scavo archeologico. Viene così creata una copertura provvisoria e solo successivamente bandito il progetto di musealizzazione che porterà alla creazione del Museo della Villa dei Mosaici come appare oggi.
Villa o Domus?
Prima di proseguire è importante distinguere brevemente tra villa e domus. Con domus i Romani indicavano un’abitazione privata signorile, ma che si trovava all’interno delle mura. La villa ricalcava la planimetria di una domus ma era molto più estesa e si trovava fuori le mura. Le villae potevano essere suburbane, cioè appena a ridosso delle mura, oppure vere e proprie villae rusticae in latifondi molto estesi.
Le case romane, domus o villae, erano ambienti chiusi sviluppati lungo un asse orizzintale, senza finestre o affacci verso l’esterno ma erano totalmente rivolti verso l’interno.
Fulcro di tutto era l’atrium, una sorta di cortile interno semi-coperto, a cui si accedeva dall’ingresso e su cui si affacciavano le porte delle altre stanze, in particolare quelle di rappresentanze. Al centro dell’atrium c’era l’impluvium, la vasca per la raccolta dell’acqua. Queste residenze signorili dovevano rappresentare il più possibile la ricchezza e del padrone di casa, dal momento che nell’antichità non esistevano “uffici” egli incontri politici e d’affari avvenivano nelle stanze delle domus e delle villae, per questo finemente decorate.
Le villae più prestigiose erano più ampie ed erano composte di due parti principali: la prima gravitava attorno all’atrio, la seconda attorno al peristylium, un grande giardino porticato su cui si affacciano altre stanze (per lo più desinate al mangiare e dormire), ornato solitamente da alberi da frutto, giochi d’acqua e piccole piscine: è il caso anche della Villa dei Mosaici di Spello.
Bisogna specificare che le domus avevano molti più vincoli di sviluppo, essendo all’interno delle città e dovendo dunque rispettare determinati limiti di spazio.
La Villa
La Villa dei Mosaici di Spello è databile tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C., grazie al confronto stilistico e iconografico dei mosaici.
Gli scavi hanno rilevato anche la presenza di un pavimento – e dunque una fase di costruzione – precedente i mosaici, risalente alla prima età augustea (fine I secolo a.C. – inizio I secolo d.C).
Osservando la topografia e lo sviluppo urbanistico dell’antica Spello, si può ipotizzare che la villa sorgesse lungo un ramo secondario della via Flaminia (Roma-Rimini) ed entrava a Spello da Porta Consolare.
Come detto poco sopra, è una villa a peristilio, attorno al quale sono distribuiti ben 20 ambienti, non tutti mosaicati (10 con mosaici). Alcuni sono privi di pavimentazioni e probabilmente hanno una funzione diversa (erano stanze di servizio) rispetto a quelli con i pavimenti a mosaico (stanze di rappresentanza).
Le tessere dei mosaici sono prevalentemente di tre colori: nero, bianco e rosa (gli ultimi due ricavati dalle pietre provenienti dal vicino Monte Subasio). I mosaici sono di altissima fattura, estremamente raffinati. Le tessere utilizzate hanno dimensioni piccole; questo significa che per posarle servivano artigiani estremamente abili, oltre che un tempo di lavoro molto lungo.
Il peristilio
Il peristilio ha un mosaico con una cornice lineare e tessere rosse e nere, all’interno delle quali sono disposte delle roselline a intervalli regolari. Mancano tracce del colonnato, anche se probabilmente esisteva. Ci sono invece tracce delle tegole in laterizio che coprivano il portico, ritrovate a terra per via del crollo del tetto.
Nel peristilio ci sono tracce anche di un restauro antico, con tessere di dimensioni e orientamento diversi: probabilmente per l’usura o per qualche incidente, già in età antica si era sentita l’esigenza di restaurare quest’ambiente.
Nella zona meridionale della Villa ci sono degli ambienti piccoli ma di grande raffinatezza della resa, sia dal punto di vista della scelta della pavimentazione della parte in alzato; il tutto denota che probabilmente erano ambienti in cui accoglievano gli ospiti e in cui si svolgevano gli incontri più importanti.
La stanza del triclinium
La stanza più famosa e ampia della Villa è il triclinium, la sala dove si tenevano i banchetti. Qui il proprietario e i suoi ospiti mangiavano e bevevano, sdraiati su dei lettini (kliné) disposti ai tre lati della tavola. Da qui il nome “triclinio”. Coerentemente alla sua funzione, la sala è decorata con scene legate alla vendemmia e alla mescita del vino. Al centro del grande mosaico di 140 m2 è raffigurata la scena di mescita: un servitore sorregge sulle spalle un’anfora dalla quale versa il vino in una coppa, tenuta in mano da un coppiere. Il vino traboccante è raccolto in un cratere (recipiente dell’epoca) poggiato a terra. La coppa tenuta dal servitore è l’unica parte di tutti i mosaici ricoperta di lapislazzuli, pietre preziose orientali che testimoniano la ricchezza del proprietario.
Attorno alla scena centrale compaiono diverse figure umane: figure maschili in nudità e allegorie delle quattro stagioni (come, per esempio, il fanciullo con la spiga di grano e la falce che rappresenta l’estate e l’uomo con la zappa che simboleggia l’autunno).
Nei riquadri ottagonali ci sono diversi animali domestici e fantastici: la tigre marina, il cervo, l’antilope, il cinghiale, l’anatra. E una pantera, animale del corteo di Bacco (il greco Dioniso), il dio del vino.
In questa stanza quel che resta degli affreschi alle pareti sono semplici motivi geometrici, quasi a voler dire che il fulcro dell’attenzione di chi entrava qui doveva essere il mosaico e non la decorazione in alzato.
La stanza degli uccelli
Il mosaico in questo ambiente ha una decorazione che consiste in una semplice cornice che racchiude una trama geometrica a quadrati, rombi e triangoli. All’interno sei ottagoni racchiudono altrettanti uccelli appoggiati sui rami d’ulivo e spighe di grano. Sono anatre, pernici, tordi; animali presenti in Umbria oggi come 2000 anni fa.
Sulle pareti della stanza sono visibili tracce di una partizione geometrica delle pareti, a fasce rosse e riquadri, che forse conteneva poi affreschi con motivi decorativi.
La destinazione di questa stanza non è certa, ma probabilmente era a uso privato, forse per i pranzi non ufficiali, dal momento che gli uccelli raffigurati nel mosaico richiamano la caccia e la buona tavola. È collegata con la stanza delle anfore e con l’ambiente riscaldato.
La stanza delle anfore
Particolarissima decorazione con quattro anfore stilizzate disposte a croce, un soggetto che trova confronto solo con un pavimento proveniente da una villa di Roma, nell’area di Tor Marancia. A prima vista sembra un mosaico di spade, ma in realtà sono delle anfore “a puntale”, chiamate così perché non avevano una base piatta, ma venivano piantate nel terreno. Venivano usate come contenitori di vino, olio e frumento, contenuti preziosi nell’antica Roma, ed evitare che cadessero.
Stando ad alcune ipotesi la presenza come decorazione di un oggetto così “tecnico” indicherebbe che nella villa si produceva vino, ma non ci sono altre evidenze archeologiche che la confermino.
La stanza del sole radiante
La stanza del sole radiante, affacciata direttamente sul peristilio, era molto probabilmente un ambiente privato. Rappresenta un unicum rispetto ai mosaici trovati in altre ville romane. Il mosaico ha una cornice esterna rossa con segmenti bianchi, bordata con una fascia di cerchi. All’interno forme geometriche creano un effetto tridimensionale: trecce, quadrati, nodi di Salomone. Nell’ottagono centrale c’è un sole col viso umano che irradia delle piante palustri con uccelli: l’anatra, il tordo, la pernice, l’upupa. A guardar bene nel mosaico c’è un altro animale che in pochi notano: la lucertola. I romani la consideravano un portafortuna per la vendemmia: essendo un animale a sangue freddo ha bisogno di stare molte ore sotto il sole, così come la vite ha bisogno dei raggi solari.
In questa stanza si intravedono anche gli affreschi delle pareti: un laghetto con le anatre e addirittura un leone e un antilope.
Stanza del mosaico geometrico
Data la sua posizione e struttura potrebbe trattarsi di una camera da letto. Il mosaico ha un motivo particolare chiamato “croce di quattro squadre”, una decorazione elegante che gioca col contrasto tra rosa e bianco. Anche qui si sono conservate le pitture a muro dove erano dipinti animali marini fantastici e fiori con tre colori di sfondo: rosso, giallo e blu.
La stanza degli scudi
Anche questa stanza gioca con le figure geometriche che ingannano al primo sguardo. Se ci si concentra sulle tessere rosa si notano dei rombi. Se lo sguardo si posa sul bianco l’effetto sarà vedere una fila di “s”. In realtà la figura stilizzata è la “pelta”, lo scudo greco a forma di luna crescente.
La stanza riscaldata
Tra la Stanza degli uccelli e quella del triclinio c’è un ambiente in cui sono stati ritrovati i resti delle suspensurae, dei pilastrini in laterizio che creavano una intercapedine tra le fondamenta dell’edificio e il pavimento nella quale poteva circolare l’aria calda che proveniva da un forno, la cui bocca è ancora conservata. Tradotto: un riscaldamento a pavimento ante litteram.
La stanza era interamente coperta nelle pareti da stucco, resistente all’umidità. È l’unica stanza riscaldata della casa, dunque doveva essere riservata a ricevimenti di una certa importanza.
Una casa senza arredi?
Nello scavare la Villa non sono stati trovati elementi di corredo, arredi come candelabri, statue, vasi, oggetti di vario tipo. L’ipotesi più probabile è che la villa sia stata abbandonata quasi consapevolmente, una sorta di “trasloco” da parte dei proprietari. E che poi non solo la casa, ma l’intera zona, non sia stata più abitata. A conferma di questa ipotesi c’è il fatto che in questa zona sono state trovate poi delle sepolture di IV secolo d.C. e quando c’è una sepoltura, vuol dire che l’area non era più frequentata.
Il motivo di questo abbandono non è certo. Sono state trovate tracce di bruciato in varie parti della villa e stati di crollo e movimentazione del terreno, quasi a causa delle movimenti tellurici. Dunque forse un incendio, o minacce frequenti di terremoti.
Di chi era la Villa?
Il proprietario di questa villa rimane a oggi sconosciuto. È molto probabile fosse una persona facoltosa, dato l’uso di materiali preziosi e la raffinatezza dei mosaici, che lascia intuire il lavoro di maestranze di un certo livello e di molta manodopera, per un tempo piuttosto lungo.
La proposta di motivi decorativi che hanno pochi riscontri in altre ville e soprattutto che si possono confrontare solo con ville romane, lascia pensare che l’uomo frequentasse l’ambiente senatorio romano e abbia potuto vedere quelle abitazioni e imitarle.
Alcuni hanno pensato che il proprietario potesse avere un’attività legata al vino, dato il soggetto di alcuni mosaici, in particolare la scena di mescita nel tricilinium e le anfore “a puntale”, ma rimangono solo ipotesi.
La musealizzazione
Dopo la fase di scavo e di studio dei mosaici bisognava pensare alla loro musealizzazione. Di per sé la villa è già un museo, ma richiede una copertura per la delicatezza del reperto. Tale copertura doveva essere in armonia con la villa, ma anche con il paesaggio esterno.
Il progetto vincitore del bando emesso dal Comune di Spello ha proposto un edificio in continuità con l’ambiente: le forme ondulate richiamano quelle delle colline circostanti, il giardino pensile sul tetto riprende e solleva al cielo la vigna di fianco all’edificio.
Le vetrate sono studiate in modo che la luce entri – a seconda dell’ora del giorno – con un’angolazione diversa illuminando i mosaici con varietà. Le vetrate, ancora, sono gli occhi della villa sulla città di Spello.
Il museo è stato realizzato nella piena tutela della villa, senza invadere o modificare l’ambiente dell’edificio antico. Per fruire al meglio dei reperto, è stata scelta la soluzione di creare delle passerelle sopraelevate, perché non si poteva percorrere naturalmente a piedi il mosaico per questioni sempre di tutela.
Sono stati installati pannelli didattici in doppia lingua e anche in linguaggio Braille. È inoltre presente un apparato di vetrine che restituiscono i pochissimi elementi che sono stati evidenziati nello scavo e che raccolgono anche altri contesti provenienti dal territorio, in modo da inserire la villa nel suo contesto storico-territoriale.