Bellum Perusinum
Tra il 41 e il 40 a.C. Perugia fu assediata dall’esercito di Ottaviano Augusto. Il ventiduenne erede di Giulio Cesare voleva punire Lucio Antonio, fratello del più famoso Marco Antonio, che gli aveva dichiarato guerra in nome del ripristino della Repubblica. Lucio Antonio assieme alla cognata Fulvia si era rifugiato tra le mura della città, ma dopo un anno di assedio condotto da Marco Vipsanio Agrippa (lo stesso che costruì il Panteon), la popolazione perugina si arrese. Ottaviano mandò in esilio in Spagna Lucio Antonio e ai legionari romani che avevano difeso la città fu concessa la clemenza. Mentre i nobili perugini ebbero un destino diverso, così come la città che venne saccheggiata e bruciata.
I dettagli ce li racconta Svetonio: «Dopo la vittoria, mentre Antonio si prendeva cura dell’Oriente, Ottaviano attese in Italia a distribuir terre ai veterani che avevano combattuto per i triumviri e poi condusse una guerra contro Lucio Antonio, fratello di Marco, che andava complottando contro di lui; e lo assediò in Perugia, costringendolo ad arrendersi con molti altri. Ottaviano si adirò contro i nobili di Perugia, trecento, appartenenti all’ordine senatorio ed all’equestre, li fece uccidere alle Idi di Marzo del 40 a.C., sacrificandoli dinanzi all’altare fatto erigere in onore di Cesare».
I segni di quell’incendio che distrusse Perugia 2055 anni fa sono ancora visibili oggi sotto l’arco Etrusco e negli scavi sotto la cattedrale di San Lorenzo.
L’epopea dei Vibi
Per guidare la ricostruzione Ottaviano scelse un nobile perugino di cui si potesse fidare. Il prescelto fu Caio Vibio Veldumniano, della famiglia dei Vibi, parente stretto del console Vibio Pansa che morì durante la battaglia di Modena del 43 a.C. al fianco di Ottaviano e che fu seppellito al Campo Marzio, il luogo più sacro ai Romani.
Caio Vibio Veldumniano aveva una villa in un luogo che da lui prese il nome di Monte Vibiano e un’altra a residenza a poca distanza da Monte Veldumniano (oggi Monte Verniano).
Da lui e dalla sua famiglia è seguita una grande discendenza. Sotto l’Imperatore Tiberio un ruolo di rilievo lo assunse Caio Vibio Marso, probabile nipote di Vibio Veldumniano, che Tacito elogia come «quoque vetustis honoribus studiisque illustris» (colui che è di antichi onori e studi eccelsi).
Nato (nella terra dei Vibi) a Monte Vibiano nel 16 a.C.?, forse Figlio di Gaio Vibio Postumo, nipote di Vibio Veldumniano, Vibio Marso fu amico di Germanico e di Marco Plauzio Silvano, ebbe una figlia, Vibia dalla moglie Lelia, che a sua volta sposò il figlio di Marco Plauzio Silvano, tale P. Plauzio Pulcro, compagno di Druso (figlio di Germanico). Fino al 5 d.C. trascorse l’infanzia e adolescenza piena di studi e addestramento militare a Perugia, in piena fase di Ricostruzione sotto Augusto.
Dal 6 al 9 d.C. partecipò alla repressione della rivolta Dalmato-Pannonica, una guerra durata 4 anni, sotto il comando di Tiberio. Dal 10 al 13 d.C. combatté con Tiberio e Germanico nella campagna di Germania dopo la disfatta di Varo nel 9 d.C.a Teutoburgo contro Arminio. Nel 14 d.C. partecipò alla seconda spedizione in Germania a fianco di Germanico e sconfigge i Marsi (una delle varie tribù germaniche oltre ai Cherusci a cui apparteneva Arminio). L’anno successivo, sotto Tiberio imperatore, partecipò alla terza campagna militare in Germania tra le fila dell’esercito guidato da Aulo Cecina Severo. E Per la seconda volta i Marsi sono sconfitti.
Le fonti storiche ci dicono che nel 16 d.C. Vibio Marso seguì le legioni di Germanico nella foresta di Teutoburgo dove venne data degna sepoltura ai legionari delle legioni di Varo massacrati nel 9 d.C. In quella spedizione furono anche recuperate due delle tre aquile legionarie perdute.
Forse proprio a seguito di questi successi militari Vibio prese il nome di Marso. E quando Perugia fu completamente ricostruita, forse proprio in suo onore gli venne intitolata la Porta Marsia.
Nel 17 d.C., grazie ai buoni uffici di Germanico, Vibio Marso fu nominato console suffetto (consul suffectus), che subentrava alla carica dell’effettivo console annuale, dopo pochi mesi. Si tratta di un titolo onorifico per ingrossare le fila degli ex consoli, e quindi dei privilegi che ne conseguono, come la possibilità di diventare governatore di una provincia. Ma è comunque segno della grande stima di cui godeva.
Nel 18 d.C. Tiberio inviò il figlio adottivo, Germanico in oriente con la scusa di riportare ordine nelle instabili regioni di Cappadocia, Cilicia, Armenia e Siria. A Germanico fu concesso l’imperium proconsolaris maius su tutte le province orientali; Tiberio tuttavia, geloso della popolarità, affiancò Germanico con un suo fidato Gneo Calpurnio Pisone che nominò governatore della Siria, con il compito di tenerlo a bada e financo farlo morire. La moglie Agrippina Maggiore e Vibio Marso accompagnarono Germanico nella missione.
Germanico sempre affiancato da Vibio Marso, gestì brillantemente la situazione con una accorta politica diplomatica: in Armenia incoronò Zenone con il consenso dei Parti, la Cilicia fu annessa alla Siria, la Cappadocia fu istituita come provincia autonoma.
Agli inizi del 19 d.C. Vibio Marso decise di concedersi un meritato riposo in Egitto, ma tornato in Siria entrò in aperto conflitto con Calpurnio che aveva annullato tutti i suoi provvedimenti. Calpurnio fu cacciato da Germanico e partì per Roma non senza prima ordire un probabile avvelenamento a tradimento di Germanico stesso. Dopo la partenza di Pisone infatti, Germanico cadde malato ad Antiochia e morì il 10 ottobre dello stesso anno dopo lunghe sofferenze. In punto di morte, convinto della colpevolezza di Calpurnio, chiese alla moglie Agrippina e all’amico Vibio Marso di vendicarlo. Vibio Marso per ordine lasciatogli da Germanico impedì a Calpurnio Pisone di ritornare in Siria per riprendersi il potere e lo costrinse a tornare a Roma al fine di sottoporsi al processo come responsabile della morte di Germanico e per numerosi altri reati commessi.
Vibio Marso doveva diventare governatore della Siria, per l’ordine lasciato da Germanico prima di morire, ma si aprì una disputa con il più anziano Gneo Senzio. Alla fine il giovane Vibio Marso rinunciò e solo 22 anni dopo, sotto l’imperatore Claudio, ottenne quel governatorato.
A 36 anni, nel 20 d.C. Vibio Marso si ritirò alcuni anni a Perugia e avviò i lavori dell’anfiteatro, ritornando più volte a Roma. In seguito ottenne la carica di proconsole della provincia Africana (comprendente le attuali Libia Tunisia e Algeria) tra il 27 e 29 a.C